Criminologia e Sociologia

14 maggio 2012
Troppe insidie nell'attività investigativa criminale

Troppe insidie nell'attività investigativa criminale (“La Voce” di Rovigo)

 

di Patrizia Trapella* e Luca Massaro**

 

La scorsa settimana durante una lezione di investigazione omicidiaria a Baltimora un relatore di prestigio – quanto meno dal punto di vista dell'esperienza per via degli oltre 25 anni di esperienza  nei tribunali di diverse città degli Stati Uniti – ha iniziato l'intervento ad un seminario a cui abbiamo partecipato pronunciando la seguente frase: “Non esiste l'omicidio perfetto. Esistono soltanto le cattive indagini”. Provocazione? Un mea culpa americano? O una bruciante accusa rivolta a chi – italiani compresi – conclude le attività investigative in maniera discutibile per non dire di peggio?

Oggi, a pochi giorni dalla sentenza della Corte d'assise d'appello di Perugia – per intenderci quella che ha assolto con formula piena Amanda Knox e Raffaele Sollecito dal reato di omicidio, violenza sessuale e furto nei confronti di Meredith Kercher – la frase risuona chiara nelle nostre menti.   

Ma in effetti quale significato possiamo attribuire a queste inversioni di rotta, a questi clamorosi capovolgimenti di sentenze? Tanti significati. Ed è proprio tutta colpa del nostro sistema giudiziario che non funziona come sostengono molti cittadini? Riteniamo di no. 

La giustizia é amministrata da uomini e i giudici, chiamati a valutare il comportamento umano, esprimono per l'appunto un giudizio che si forma sulla base di elementi raccolti e presentati sia dall'accusa che dalla difesa. Noi sappiamo che le sentenze vanno rispettate e, se non condivise, vanno impugnate o magari sottoposte a revisione se sussistono i presupposti previsti dalla legge. Questo deve essere un punto fermo nella nostra società.

Pertanto, il problema sorge a monte o meglio nel percorso che porta alla sentenza. Come vengono svolte le indagini e, soprattutto, da chi vengono svolte? Che si tratti di attività d'indagine svolta dalla procura piuttosto che di attività investigativa svolta dalla difesa, chi la compie é professionalmente qualificato?

Noi pensiamo che le radici del problema siano multiple e ben ancorate al nostro humus socio-culturale. Purtroppo. Ognuno – ogni attore a diverso titolo interessato nell'indagine giudiziaria – dovrebbe conoscere i limiti delle proprie azioni ed essere padrone della propria formazione professionale. Qualche semplice esemplificazione: i dibattimenti (processi) dovrebbero essere celebrati nelle aule di giustizia e non alla televisione o sui giornali; gli specialisti che eseguono e conducono le attività di indagine dovrebbero vantare un training di preparazione certificato idoneo a sostenere tali prove; le operazioni di sopralluogo dovrebbero essere arcinote nei minimi particolari per gli addetti ai lavori; la multidisciplinarietà degli accertamenti non dovrebbe essere considerata una vergognosa ammissione dei limiti delle proprie competenze bensì la premessa per una completa ed esauriente fase investigativa; i corsi di preparazione criminologica e medico-legale dovrebbero essere di numero limitato in tutto il territorio nazionale e tenuti da autorevoli relatori al fine di selezionare gli elementi più validi e meritevoli e non dovrebbero essere un business per pochi a discapito di persone (giovani in genere) in buona fede affascinate dalla materia e da telefilms sempre troppo accattivanti. Quello che manca è la cultura criminologica.  

Non sappiamo se tutto questo sia possibile, ma in questo momento storico dobbiamo riflettere su un punto. In un paese democratico è più grave giungere a condannare un innocente o non perseguire il colpevole?    

 

 

*avvocato penalista ** medico legale – master in psichiatria forense e criminologia.

Entrambi membri della Harvard Association in Police Science, Inc. Baltimore